Il rapporto nazionale «Città e demografia d’impresa» diffuso da Confcommercio illumina un quadro che non possiamo più fingere di non vedere: in dieci anni l’Italia ha perso oltre centomila negozi, un’erosione lenta e spietata che incide sul cuore delle comunità. Il Trentino non è un’eccezione, e la fotografia locale conferma una tendenza che preoccupa profondamente chi ogni giorno vive la città dal bancone, dalla bottega, dalla vetrina.
Massimo Piffer, vicepresidente vicario di Confcommercio Trentino e presidente dell’Associazione Commercianti al Dettaglio, osserva che «non stiamo parlando solo di numeri: stiamo parlando di presìdi di vita. Quando chiude un negozio chiude un pezzo di comunità, si spegne un punto di riferimento, si sfibra la trama sociale dei nostri centri». Per Piffer il dato sulla crescita delle attività legate alla ristorazione e al turismo «racconta una città che ha trovato una nuova vocazione, ma non può illuderci: non basta un buon andamento turistico a salvare il commercio di prossimità se la struttura urbana non è pensata per tenerlo in vita».
Al centro della sua analisi c’è un tema che spesso sfugge ai commentatori frettolosi ma che pesa come un macigno: l’urbanistica. «Lo sviluppo dei nostri centri – afferma Piffer – passa dalla capacità di ripensare urbanisticamente i luoghi. Se una via perde attrattività, se un quartiere non genera più flussi, se gli spazi pubblici non invitano alla sosta, allora il commercio soffre. Le imprese non sopravvivono nel vuoto: respirano insieme ai loro luoghi». La pianificazione territoriale diventa quindi, nelle parole di Piffer, «la chiave di volta di ogni strategia di rilancio. Serve una visione che rimetta al centro l’attrattività dei centri urbani, che renda i percorsi più accessibili, che semplifichi la vita ai clienti e quindi ai negozianti».
Piffer insiste anche sul tema della mobilità come condizione economica minima per la vita delle imprese: «La mobilità non è un tecnicismo da addetti ai lavori: è ciò che decide se un negozio vive o muore. Un centro che non si raggiunge facilmente, un parcheggio che scoraggia, un trasporto pubblico che non regge i ritmi reali delle persone, tutto questo pesa sulla cassa tanto quanto i costi fissi. Una città che vuole tenere vivi i suoi negozi deve rendersi raggiungibile, fruibile, attraversabile».
Per il vicepresidente vicario di Confcommercio Trentino, il rapporto di Confcommercio nazionale non va letto come un mero bollettino di crisi, ma come un segnale di direzione: «Dobbiamo recuperare la capacità di fare città. E fare città significa dare valore alla quotidianità: la luce di una vetrina, la dignità di una piazza, il comfort di un percorso pedonale, la sicurezza di trovare un negozio aperto sotto casa. Se le persone tornano a vivere i luoghi, il commercio riprende fiato. Se i luoghi si svuotano, nessuna piattaforma digitale potrà riempirli».
Trento e il Trentino, conclude Piffer, hanno ancora gli anticorpi per invertire la rotta, «ma serve uno scatto collettivo: pubblico e privato devono tornare a parlarsi con pragmatismo. Il commercio di prossimità vive se vive la città. E la città vive solo se qualcuno la progetta pensando alle persone, non alle slide».